sabato 10 gennaio 2015

Romeo Gigli, quello stile che "sa di lontano".

Ho sempre amato smisuratamente l'arte di Romeo Gigli, geniale creatore di uno stile inconfondibile, "che sa di lontano", incentrato sulla contaminazione tra epoche ed etnie differenti. La sua irruzione nel mondo della moda, era il 1983, fu un vero e proprio evento rivoluzionario. Romeo Gigli, già nella prime sfilate, destrutturava le giacche, valorizzava i tessuti, proponeva capi in cui elementi di rigidità e morbidezza si combinavano in maniera del tutto inusuale. L'immagine aggressiva della donna anni '80, lasciava il posto a figure eteree e poetiche, ispirate alle ballerine di Degas e all'imperatrice Teodora dei mosaici di Ravenna. I colori erano, per la moda del tempo, assolutamente inediti: giallo anaconda, rosso rubino, verde vipera, blu Cina. Ricordo ancora le pubblicità sui giornali, immagini sofisticatissime che si accompagnavano a versi di poesie di Auden.

Osannato in tutto il mondo (nel 2003 il Fashion Textile Museum di Londra e il Metropolitan Museum di New York hanno esposto alcune delle sue creazioni), e imitato ai limiti del plagio, di Romeo Gigli, oggi, si sono quasi smarrite le tracce. Se si tenta di ricostruire il suo più recente percorso creativo, ci si imbatte in vuoti temporali di anni, tessere isolate (che continuano ad apparirci preziose) di un mosaico ormai difficile da comporre. L'auspicio, credo condiviso da molti, è che la sua presenza sulle passerelle riacquisti rilevanza e continuità; che il suo mondo di stilista intellettuale e viaggiatore, così vicino a quello dei grandi couturiers francesi, torni a regalarci incanti poetici e a svelarci nuove possibilità di contaminazioni armoniose fra il tempo e lo spazio.

GIULIANO FALZONE
 

















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